martedì 19 maggio 2009
Da vicino nessuno è normale.
Non è un titolo mio ma non ne ho trovato uno altrettanto completo, ugualmente immediato e di così ampia portata. E siccome ritengo che, come in tutte le cose, bisogna saper riconoscere quando qualcun altro fa meglio di noi, l'ho fatto anche un po' mio.
È vero, non si può, anzi non si deve, generalizzare il concetto di normalità. Il 'Devoto-Oli' aggiornato al lontano 1995 (ma si sa in Italia 14 anni non fanno ancora la differenza) recita "Normalità: Condizione riconducibile alla consuetudine o alla generalità, interpretata come 'regolarità' o anche 'ordine". Consuetudine è ciò a cui siamo più abituati. Ciò che è più frequente e che per questo diventa ordinario. Il divorzio non era ordinario. Oggi lo è. L'aborto non era ordinario. Oggi lo è. Ordinario, non all'ordine del giorno. Possibile, non certo, intendiamoci. Il congedo parentale per i papà non era ordinario. Oggi lo è. Le relazioni omosessuali non erano ordinarie. Oggi lo sono. È un dato di fatto, è un fenomeno evolutivo che bisogna razionalizzare e affrontare come abbiamo saputo fare per tutto il resto. Bisogna assicurarci, in tutto e per tutto, di essere liberi di scegliere. Sempre. Molti paesi nel mondo, Canada, Olanda, Svezia, Inghilterra e Spagna, l'hanno già fatto, recentemente, quindi risultiamo ancora solo più meditativi e non in netto ritardo. Cosa ci rende così critici? Cosa ci spaventa? Il cambiamento. L'idea che i valori che abbiamo posto alla base del nostro credo oggi non siano più riconoscibili. Chissà poi perché ci preoccupiamo meno di una famiglia ordinariamente composta, padre, madre e figli, magari indigente o allo sbando per tutta una serie di casistiche neanche tanto improbabili o anche solo senza amore, che non dei nuovi nuclei non ordinari ma forse, per molti versi, più riusciti. Dove sta la ragione? Soprattutto, chi decide chi ha ragione e chi no? Fondamentale non ledere i diritti altrui. Nelle coppie omosessuali le parti sono consenzienti. Perché ci investiamo di una carica che ha del divino nel volerle giudicare e separare? Perché non ci basta sapere che vivono in armonia e amore? Non ci viene domandato di seguirli, di imitarli o di condividerne le ragioni ma solo di accettarne le scelte. Perché se la 'nuova coppia' rispondesse ai requisiti al pari di una 'vecchia coppia' per l'adozione non dovremmo essere a favore? Perché non li possiamo credere dei genitori capaci? Per difendere i diritti dei bambini? Per proteggerli? Per consentire loro di rientrare nella normalità? Perché non si sentano 'diversi'? E i figli dei tossicodipendenti? E quelli dei delinquenti? E quelli oggetto di violenze? Possono forse sentirsi normali solo perché vantano sulla carta un padre e una madre? Gli unici diritti fondamentali dei bambini sono quelli di vivere e crescere nel rispetto e nell'amore. Anche con un genitore solo che sa già di dover far per due. La realtà cambia e noi dobbiamo saper cambiare con lei. Normalità non è l'unica possibilità e non necessariamente un successo. Lo dico da donna che vive consapevolmente la sua condizione di anormalità. Mamma di un bambino voluto e concepito fuori dal matrimonio con un uomo con cui in seguito ha interrotto la relazione. Famiglia di fatto prima della separazione, famiglia di fatto in piena regola oggi, io e mio figlio. Ma forse il problema sono proprio le regole. Quelle scritte ma ancor più quelle non scritte. Vogliamo normalità senza sapere più cosa sia giusto chiamare 'normalità'. Io mi sento normale ma venite più vicino...voi cosa vedete?
È vero, non si può, anzi non si deve, generalizzare il concetto di normalità. Il 'Devoto-Oli' aggiornato al lontano 1995 (ma si sa in Italia 14 anni non fanno ancora la differenza) recita "Normalità: Condizione riconducibile alla consuetudine o alla generalità, interpretata come 'regolarità' o anche 'ordine". Consuetudine è ciò a cui siamo più abituati. Ciò che è più frequente e che per questo diventa ordinario. Il divorzio non era ordinario. Oggi lo è. L'aborto non era ordinario. Oggi lo è. Ordinario, non all'ordine del giorno. Possibile, non certo, intendiamoci. Il congedo parentale per i papà non era ordinario. Oggi lo è. Le relazioni omosessuali non erano ordinarie. Oggi lo sono. È un dato di fatto, è un fenomeno evolutivo che bisogna razionalizzare e affrontare come abbiamo saputo fare per tutto il resto. Bisogna assicurarci, in tutto e per tutto, di essere liberi di scegliere. Sempre. Molti paesi nel mondo, Canada, Olanda, Svezia, Inghilterra e Spagna, l'hanno già fatto, recentemente, quindi risultiamo ancora solo più meditativi e non in netto ritardo. Cosa ci rende così critici? Cosa ci spaventa? Il cambiamento. L'idea che i valori che abbiamo posto alla base del nostro credo oggi non siano più riconoscibili. Chissà poi perché ci preoccupiamo meno di una famiglia ordinariamente composta, padre, madre e figli, magari indigente o allo sbando per tutta una serie di casistiche neanche tanto improbabili o anche solo senza amore, che non dei nuovi nuclei non ordinari ma forse, per molti versi, più riusciti. Dove sta la ragione? Soprattutto, chi decide chi ha ragione e chi no? Fondamentale non ledere i diritti altrui. Nelle coppie omosessuali le parti sono consenzienti. Perché ci investiamo di una carica che ha del divino nel volerle giudicare e separare? Perché non ci basta sapere che vivono in armonia e amore? Non ci viene domandato di seguirli, di imitarli o di condividerne le ragioni ma solo di accettarne le scelte. Perché se la 'nuova coppia' rispondesse ai requisiti al pari di una 'vecchia coppia' per l'adozione non dovremmo essere a favore? Perché non li possiamo credere dei genitori capaci? Per difendere i diritti dei bambini? Per proteggerli? Per consentire loro di rientrare nella normalità? Perché non si sentano 'diversi'? E i figli dei tossicodipendenti? E quelli dei delinquenti? E quelli oggetto di violenze? Possono forse sentirsi normali solo perché vantano sulla carta un padre e una madre? Gli unici diritti fondamentali dei bambini sono quelli di vivere e crescere nel rispetto e nell'amore. Anche con un genitore solo che sa già di dover far per due. La realtà cambia e noi dobbiamo saper cambiare con lei. Normalità non è l'unica possibilità e non necessariamente un successo. Lo dico da donna che vive consapevolmente la sua condizione di anormalità. Mamma di un bambino voluto e concepito fuori dal matrimonio con un uomo con cui in seguito ha interrotto la relazione. Famiglia di fatto prima della separazione, famiglia di fatto in piena regola oggi, io e mio figlio. Ma forse il problema sono proprio le regole. Quelle scritte ma ancor più quelle non scritte. Vogliamo normalità senza sapere più cosa sia giusto chiamare 'normalità'. Io mi sento normale ma venite più vicino...voi cosa vedete?
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Cara MammYX,
RispondiEliminami siedo, stappo una cola, apro un bel pacco di patatine e attando commenti su questo nuovo post.
Vediamo dove ci porterà.
Un abbraccio,
Lice
ti linko un monologo di fabio volo...ascoltalo è davvero attinente...
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=_b_kGiAuXsQ
Ci porterà lontano, dove è giusto andare. In tutti i sensi.
RispondiEliminacare le mie care ragazze,
RispondiEliminastate serene che non scrivo per criticare quello che state condividendo con il pianeta internet (e con me).
sono semplicemente "comoda" nell'attesa di commenti costruttivi su questo argomento, che tante, troppe volte (sempre?) passa inosservato.
tutto qua.
vi abbraccio virtualmente, un giorno prima o poi, DAL VIVO.
io leggo di una donna che vive e di una mamma che ama.
RispondiEliminacambiando registro in questi casi mi dico sempre che non possiamo dimenticarci di avere il vaticano in casa e questo rispetto al mondo anglosassone ha fatto e fa tutt'ora la differenza...purtroppo!
Seduta con Lice sul divano, mangiando patatine crocchianti ascolto emozionata le parole cariche di promesse di Zapatero che apre le porte del paese ad una felicità anche e solo più diffusa e ringrazio Eppifemili per aver voluto condividerlo.
RispondiEliminaBevo un goccio di cola e scambio uno sguardo complice con Lice perchè penso che forse semplicemente molti commenti non sono stati fatti, molti altri non sono stati trascritti ma quelli che in qualche modo ci hanno raggiunto ci piacciono. Le voci, le penne ma anche le matite che passano di qui sono partecipi, acute, libere e rispettose.