giovedì 15 ottobre 2009
Once upon a time, not so long ago...
Ci sono delle mattine in cui non so cosa mettermi. Meglio, ci sono delle mattine in cui non ho voglia di vestirmi. Meglio ancora ci sono delle mattine in cui non uscirei di casa. Ecco quelli sono giorni difficili, magari è già tardi, magari sono anche un po' addormentata e il più delle volte le 'combinazioni pluri-sperimentate' non sono disponibili perché da ritirare in tintoria, o ancora da lavare, o ancora da stirare, o semplicemente perché i capi non si sono presentati spontaneamente e allora è inutile ostinarsi, se non riaffiorano nei primi 30-40 secondi, 50 al massimo non li troverai se non la sera al rientro dalle 11 ore di 'vita spremuta' quando non occorreranno più. Una volta questo non poteva accadere perché la sera, serenamente e noiosamente, sceglievo e riponevo accanto al letto gli indumenti per il giorno dopo. E' passato del tempo e ora la sera sono più inconcludente e meno scontata nelle mie azioni e così la mattina pago lo scotto. Qualche settimana fa ho vissuto una di queste 'giornate pregiudicate'. Non dimentichiamoci che dopo la doccia ad occhi chiusi e braccia conserte per il recente trauma dell'abbandono del giaciglio riscaldato devo anche affrontare il phon con l'incognita del risultato. Orbene passate le fasi trucco e parrucco mancava solo quella del costume di scena e non potendomi permettere di sostare oltre con lo sguardo vacuo davanti alle ante aperte del guardaroba mi sono infilata un paio di pantaloni grigio perla a sigaretta, una camicia senza maniche bianca, dei sandali beige tacco 7 alla loro terza apparizione stagionale (però acquistati in Carnaby Street) e borsa nera. D'accordo ho trascurato gli accessori ma devo aver pensato 'Non è il massimo ma sanno che ho buon gusto e che quando mi sistemo sono carina'. Uno di quei giorni in cui cerchi di defilarti il più possibile, in cui non invadi lo spazio vitale degli altri e fai di tutto perché loro non invadano il tuo. Insomma il tuo unico desiderio è di arrivare a sera anche se sai che non si dovrebbe fare, che ogni giorno va vissuto come fosse l'ultimo ma non ci puoi fare nulla e metti già in conto che mal che vada il tuo ultimo non sarà stato un granchè.
Procedeva tutto nella normalità quando in pochi minuti l'aria dell'ufficio è diventata quasi irrespirabile perché mescolata a forte odore di gas (quale gas non saprei ma facciamo di sicuro un gas cattivo). Io mi facevo piccola sulla sedia girevole tentando di ignorare gli sguardi interrogativi di buona parte degli altri abitanti dell'open space che tanto si sono agitati e tanto hanno starnazzato che ci è toccato 'lasciare gli uffici uscendo ordinatamente lungo le vie principali di fuga messe in sicurezza dalla squadra di soccorso anti-incendio e all'occorrenza anche solo anti-aria insalubre' (che in realtà già sostavano bellamente davanti all'ingresso del palazzo, quattro piani sotto di noi). Una manciata di minuti più tardi, la fiumana di gente vociante e stordita dall'evento non calcolato si è riversata nel piazzale antistante il palazzo, 200 persone circa in una piazzola da 2 camper per intenderci. Una mezz'ora di socialità inattesa e inespressa. Stanati, a spalle scoperte, alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti. Tutti ma proprio tutti, anche quelli che non sai chi siano e soprattutto che si stanno chiedendo chi diavolo tu sia e da quanto tempo sia stata assunta. Tenti di stare vicino a qualche figura familiare per sentirne il calore ma senza che altri se ne accorgano, fingi l'assoluta padronanza della situazione, sorridi all'impazzata, stringi mani, offri battute di spirito, valuti fra te e te se non sia ancora un po' presto per gli stivali, se le pailettes prima della mezzanotte non siano premature, perché a te il tailleur non stia altrettanto bene e cosa tu abbia fatto di male per meritare tutto questo. Poi finalmente è rientrato quello che si è rivelato essere solo un allarme-smog e fra una serie interminabile di respiri di sollievo e sorrisi di circostanza abbiamo potuto occupare gli uffici più in fretta di quando li abbiamo evacuati, ritornando ai nostri più confortevoli anonimati.
Procedeva tutto nella normalità quando in pochi minuti l'aria dell'ufficio è diventata quasi irrespirabile perché mescolata a forte odore di gas (quale gas non saprei ma facciamo di sicuro un gas cattivo). Io mi facevo piccola sulla sedia girevole tentando di ignorare gli sguardi interrogativi di buona parte degli altri abitanti dell'open space che tanto si sono agitati e tanto hanno starnazzato che ci è toccato 'lasciare gli uffici uscendo ordinatamente lungo le vie principali di fuga messe in sicurezza dalla squadra di soccorso anti-incendio e all'occorrenza anche solo anti-aria insalubre' (che in realtà già sostavano bellamente davanti all'ingresso del palazzo, quattro piani sotto di noi). Una manciata di minuti più tardi, la fiumana di gente vociante e stordita dall'evento non calcolato si è riversata nel piazzale antistante il palazzo, 200 persone circa in una piazzola da 2 camper per intenderci. Una mezz'ora di socialità inattesa e inespressa. Stanati, a spalle scoperte, alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti. Tutti ma proprio tutti, anche quelli che non sai chi siano e soprattutto che si stanno chiedendo chi diavolo tu sia e da quanto tempo sia stata assunta. Tenti di stare vicino a qualche figura familiare per sentirne il calore ma senza che altri se ne accorgano, fingi l'assoluta padronanza della situazione, sorridi all'impazzata, stringi mani, offri battute di spirito, valuti fra te e te se non sia ancora un po' presto per gli stivali, se le pailettes prima della mezzanotte non siano premature, perché a te il tailleur non stia altrettanto bene e cosa tu abbia fatto di male per meritare tutto questo. Poi finalmente è rientrato quello che si è rivelato essere solo un allarme-smog e fra una serie interminabile di respiri di sollievo e sorrisi di circostanza abbiamo potuto occupare gli uffici più in fretta di quando li abbiamo evacuati, ritornando ai nostri più confortevoli anonimati.
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