giovedì 15 ottobre 2009

Benevento: dalle streghe allo “Strega”. Tremila anni tra leggenda e storia, in due pagine.



Gli antichi Romani, da grandi conquistatori quali erano, l’avevano capito con notevole anticipo: Benevento è un luogo infido, malfamato e pericoloso, dove i malefici crescono con le erbe nei campi. Infatti la chiamavano Maleventum (cattivo evento –in verità, non conoscendo il greco, ne storpiavano il vero nome, che era Maloenton, fondata, nientepopodimeno che… da Diomede, mitico eroe greco della guerra di Troia, nel 1200 a.c., alla confluenza dei due fiumi Calore e Sabato-).

Che fosse un luogo sfortunato per loro, i romani ne ebbero una prima prova con le guerre sannitiche, durante le quali ebbero un bel filo da torcere. A Caudium (l’odierna Montesarchio), accerchiati in una gola, nel 304 a.c. (seconda guerra sannitica), le buscarono di santa ragione e furono tutti fatti prigionieri. I Sanniti, però, pastori e montanari, erano anche guerrieri impavidi ma forse non assetati di sangue: infatti, piuttosto che uccidere i prigionieri, preferirono sbeffeggiarli (in quella occasione inventarono la pernacchia) e oltraggiarli (anche fisicamente) alle Forche Caudine e mandarli tutti a casa, vivi. I Romani, poco dopo (terza guerra sannitica), tornarono e non furono altrettanto generosi con i Sanniti. Maleventum fu asservita.

Quando i Romani, a Maleventum, vinsero contro Pirro, ne cambiarono il nome in Beneventum (buon evento) nella speranza (poi risultata vana) di esorcizzare i malefici che ivi prolificavano.

Benevento, in epoca romana, ebbe una vita florida e opulenta, fiorente per le attività produttive (lana, argilla) ed i commerci, essendo strada obbligata tra Roma e l’Oriente, come mostrano grandiose costruzioni (il teatro romano, l’arco di Traiano).

Ma non durò a lungo. Durante l’impero romano (dall’88 d.c. in poi) i beneventani, nel tempio a lei dedicato, adoravano Iside (Signora di Beneventum), dea della magia, degli inferi e dell’occulto, dea della fertilità, Grande Madre affettuosa ma anche capostipite di tante generazioni di spiriti malefici. Adoravano tanti spiriti che si manifestavano sotto la forma di animali come il serpente, la civetta, il bue apis.

Solo nel tardo impero romano i beneventani si convertirono al cristianesimo, ma nel loro intimo sapevano che con i santi della Chiesa tutti gli altri spiriti continuavano a vivere, pronti a manifestarsi all’occorrenza.

Caduto l’impero romano, quando i Longobardi invasero l’Italia e crearono, nel 576 d.c., il Ducato di Benevento (che dominava su quasi tutta l’Italia Meridionale), Benevento fu invasa anche dalle streghe; gli spiriti locali, pronipoti di Iside (che prima se ne stavano buoni buoni, forse per paura della Chiesa imperante), e le streghe tedesche, venute al seguito dei Longobardi, si allearono.

Le streghe proliferarono ed infestarono per secoli le campagne attorno alla città, seminando il terrore; esse, dopo aver succhiato il sangue ai bambini, li uccidevano e ne estraevano il grasso necessario per un unguento magico di cui si ricoprivano e che consentiva loro di volare sopra scope di saggina o rivoltate in groppa a cavalli rubati dalle stalle.

Le streghe tedesche portarono l’usanza di riunirsi tutte sotto un noce, carico di serpenti, cui appendevano una pelle di caprone da addentare a morsi; al noce di Benevento le streghe arrivavano in volo da tutto il mondo all’epoca conosciuto (avevano creato una sorta di Unione Europea delle Streghe), recitando questa filastrocca:

unguiento unguiento
mandame alla noce de Beneviento
supra acqua et supra viento
et supra omne maletiempo
.

Arrivavano le notti tempestose tra il venerdì e il sabato e tenevano il loro Sabba lungo il fiume Sabato (ripa delle janare) al chiarore della luna; lì arrivavano anche i diavoli, capitanati da Lucifero, con i quali danzavano nude e copulavano in riti orgiastici ai quali non erano estranee nemmeno le magiche scope di saggina (chiaro simbolo fallico, secondo gli studiosi).

Erano veramente terrificanti, quasi tutte vecchie, brutte, pelle e ossa, con nasi adunchi e ridevano come ridono le civette (hi… hi… hi…).

Per debellare le streghe, a nulla valse l’atto di San Barbato vescovo che, nel 663 d.c., abbatté il noce.

A nulla valse nemmeno la costruzione, nel 760 d.c., ad opera del duca Arechi II, della splendida chiesa di Santa Sofia; anzi, secondo me, qualche strega ci mise lo zampino nella progettazione, tanto che ne è sorta una chiesa unica, con uno spazio centrale a pianta esagonale, circondato da un altro spazio dodecagonale e le mura perimetrali a tratti circolari e a tratti a forma stellare.



Caduti i longobardi, Benevento si affidò al papato per essere autonoma dal Regno di Napoli. Federico II di Svevia arrivò da Napoli e la assediò (“ ... possano essi perire per fame e crepare in quella libertà pestifera da loro stessi scelta ...”) e, nel 1241, la rase al suolo e abbatté i bastioni della maestose mura longobarde e parte delle mura stesse.

Come sappiamo, spesso gli opposti si reggono a vicenda: le streghe sicuramente aiutarono il papato e gli angioini (Carlo d’Angiò) a sconfiggere Manfredi di Svevia “in cò del ponte, presso Benevento” (Dante, Purgatorio, canto III) nel 1266; moriva così, con Manfredi di Svevia, il sogno ghibellino di un’Italia laica.

Benevento, nel tentativo di essere libera e autonoma da Napoli, cadde dalla padella nella brace. Il Papato la tenne sotto il suo potere fino a Garibaldi, per ben sette secoli. Il Papa, visto che gl’ingrati beneventani avevano provveduto a defenestrare (letteralmente) alcuni Rettori pontifici, fece costruire la Rocca dei Rettori (XIV secolo), per meglio dominare la città; il controllo religioso promanava, invece, dal magnifico Duomo di stile romanico con campanile gotico (sec. XII-XIII). Forse il papato volle tenere la città sotto controllo anche per combattere le streghe.

Niente da fare; le streghe imperversarono ancor di più sotto il dominio pontificio, tanto che la soluzione della questione fu affidata ai Tribunali e alla benemerita Santa Inquisizione.

I Tribunali scoprirono che molte streghe si erano formate nella scuola delle streghe di Baselice (un paesino tra le montagne dell’appennino sannita), ove imparavano a far abortire le giovani donne, a far nascere bambini deformi, a provocare le tempeste, a distruggere i raccolti, a trasformare sé stesse e le persone in animali; imparavano anche o procurare i malanni, ma anche a guarirli, cosa che facevano alle persone che stavano loro simpatiche.

Come le streghe erano le janare. Ti entravano in casa da sotto la porta (janua, da cui il termine janara), annunciate da un gelido soffio di vento che metteva i brividi, soprattutto ai bambini riuniti attorno al focolare o accovacciati sotto le lenzuola; si sedevano sul petto dei bambini e impedivano loro di respirare e di emettere un sia pur flebile grido di aiuto.

A differenza delle janare, le streghe bussavano violentemente prima di entrare.

I beneventani, terrorizzati ma furbi, impararono che per difendersi occorreva appendere fuori dalla porta di casa una scopa di saggina o un sacchetto contenente del sale, in modo che la strega, per poter accedere nella casa, avrebbe prima dovuto contare tutti i fili della scopa o i granelli di sale; e, mentre contava, si faceva giorno e la luce le faceva perdere i poteri, fino alla notte successiva.

A Benevento si tennero 200 processi contro le streghe ma, poiché già allora la Giustizia italiana faceva acqua, si ha notizia di poche condanne a morte di streghe. La strega Teresa da Pesco Sannita fu bruciata nel 1430: opportunamente torturata, spontaneamente confessò di essersi più volte unta di grasso di avvoltoio e sangue di bambini lattanti al fine di invocare il diavolo Lucibello, che le appariva in forma di caprone e, trasformatosi in mosca, la conduceva al noce di Benevento. Stessa fine fece un’altra strega, di nome Faustina Orsi che, aiutata nel ricordo da utile tortura, confessò di aver ucciso dei bambini e fu bruciata nel 1552.

La regina delle streghe fu Bellezza Orsini; giovanissima, bellissima di nome e di fatto, imparò la stregoneria a Fiano Romano dalla strega Lucia, detenuta in carcere e che Bellezza accudiva. Anch’ella opportunamente torturata, confessò tutti i suoi crimini (Andamo alla noce de Benevento e illi [lì] facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro). Per non finire bruciata dal boia, si ficcò più volte un chiodo in gola (1528).

Nel resto d’Europa, dove la Giustizia funzionava meglio, migliaia ne furono processate e condannate a morte dopo “spontanee” confessioni (si usava la tortura della corda, la garrotta, la ruota, la frusta, la lapidazione, la forca dell’eretico, gli stivali, l’impalazione). Naturalmente le confessioni erano confermate da molti testimoni oculari che avevano assistito alle malefatte di quelle Maledette da Dio.

Degni compari delle streghe, a Benevento, erano le manolonghe (vivevano in fondo ai pozzi e vi trascinavano dentro i malcapitati che vi si sporgevano) e i munacielli (piccoli monaci, spiritelli dispettosi che vivevano nelle vecchie case del centro storico, ma non erano particolarmente malvagi, tanto da lasciare in dono dei denari ai bambini, dopo averli impauriti con rumori di vario genere). L’ùrie d’a casa (gli auguri della casa) invece, erano spiriti benefici, protettori della casa e della famiglia e non si facevano mai vedere.

Una delle streghe più famose era la Zucculara, vecchietta zoppa che imperversava nel quartiere storico del Triggio (trivium). Si chiamava così perché correva per le stradine di pietra con dei grossi zoccoli, che facevano un gran baccano, bussava alle porte delle vecchie case, ma se andavi ad aprire la porta, fuori non vedevi nessuno, sentivi solo il rumore dei suoi zoccoli e la sua risatina agghiacciante (hi… hi … hi …) che si allontanava.

Da qualche tempo, ormai, si hanno pochissime apparizioni di streghe e janare, neanche i munacielli si vedono. Forse perché le scope di saggina non si fabbricano più, sostituite da quelle di plastica (e tutti sanno che le scope di plastica non possono volare); i munacielli e l’ùrie, poi, sono forse tutti morti, insieme con oltre 2000 beneventani, nei bombardamenti degli americani che, nel 1943, rasero al suolo il centro storico (miracolosamente si salvò la facciata del Duomo con il campanile). Tutti vittime della modernità (della tecnologia moderna o della guerra moderna, più terrificante delle streghe).

Ormai sono pochi i beneventani che si lasciano trasportare sulle ali della fantasia, tra diavoli e streghe. Per fortuna, da un pò di tempo, un pronipote di Bellezza Orsini, Luca Aquino, con la sua tromba stregata, ci guida “Sopra le nuvole”, per respirare aria di luna (“Lunaria”).

Una strega sicuramente sopravvive nascosta nei sotterranei della ditta Alberti, dove prepara intrugli di erbe magiche, in base ad una ricetta segreta, per fabbricare il delizioso liquore Strega, con il quale, dai tempi di Garibaldi, induce in tentazione di gola (la gola è uno dei sette peccati capitali) milioni di persone in tutto il mondo, al fine di mandarle tutte tra i suoi amici diavoli dell’Inferno. Ne sono certo, l’ho vista, sono pronto a giurarlo davanti alla Santa Inquisizione.

(Nunzio Aquino)
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1 commento:

  1. Qualche streghetta esiste ancora in quel di Wellwind. E stai attento, non è tanto lontano da te. Stupendo racconto!

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