mercoledì 14 ottobre 2009

Mercoledì. Il diario di Adamo ed Eva.

Ora, quando siamo insieme ci troviamo proprio bene e ogni giorno che passa ci conosciamo un po' di più. Non tenta più di evitarmi, buon segno, e lascia anche capire che gli piace avermi con sé.

Questo fatto a me dà piacere e io mi do un gran da fare per essergli il più utile possibile, così che la sua stima cresca.

Ultimamente mi sono completamente accollata il compito di dare un nome alle cose e il mio gesto lo ha molto sollevato, perché non è troppo dotato sotto questo aspetto e di questo mi è, in maniera evidente, grato. Non è in grado di farsi venire in mente un solo nome razionale che lo riscatti ai miei occhi, ma io faccio in modo che non si accorga che so di questo suo difetto. Così, ogni volta che appare una nuova creatura, io le do il nome prima ancora che il suo goffo silenzio ne tradisca l'imbarazzo. Così facendo, in diverse occasioni, gli ho risparmiato attimi di difficoltà. Io, quel suo difetto, non ce l'ho. Nel momento stesso in cui il mio sguardo si posa su un animale, so di che animale si tratta. Non ho bisogno di rifletterci su neppure un attimo; subito mi viene la parola esatta, proprio come per ispirazione, e non c'è dubbio che sia così, perché ho la certezza che un secondo prima quella parola non era dentro di me. Si direbbe che, per sapere di che animale si tratti, la forma di quell'animale e il modo in cui si muove mi siano sufficienti.

Quando per la prima volta fece la sua comparsa il dodo lui pensò che si trattasse di una lince. Glielo lessi negli occhi. Ma gli venni in aiuto. E fui molto attenta nel farlo in modo che il suo orgoglio non ne fosse ferito. Con grande semplicità, e come se fossi piacevolmente sorpresa, cominciai a parlare e, senza nemmeno avere l'aria di chi gli stesse fornendo un'importante informazione, dissi: "Guarda, guarda, sembra impossibile, ma quello è un dodo!" E senza avere per niente l'aria di farlo gli spiegai come ero riuscita a capire che era di un dodo che si trattava. Fu chiaro che era pieno di ammirazione, anche se mi venne il sospetto che si fosse un po' risentito del fatto che io ne conoscessi il nome e lui no. Che mi ammirasse, mi diede molto piacere e prima di addormentarmi quel pensiero mi ritornò alla mente più di una volta, riempiendomi di gioia. E' sufficiente così poco per farci felici quando sentiamo di esserci guadagnata la felicità.


Tratto da Il diario di Adamo ed Eva di Mark Twain
Newton Compton, Grandi Tascabili Economici

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