martedì 13 ottobre 2009

Martedì. Il diario di Adamo ed Eva di Mark Twain.

Ho lavorato tutta la mattina per apportare miglioramenti alla mia proprietà; gli sono stata lontana di proposito perché speravo che così si sentisse solo e venisse da me. Inutilmente.

A mezzogiorno ho finito la mia giornata di lavoro e per svagarmi mi sono messa a giocherellare con le api e le farfalle, mi sono data alla pazza gioia tra i fìori, quelle creature stupende che rubano al cielo il sorriso di Dio e lo conservano dentro di sé. Li ho raccolti e ne ho intrecciato ghirlande con le quali ho rivestito il mio corpo mentre consumavo il pranzo - mele naturalmente; poi mi sono seduta nell'ombra ad aspettarlo piena di desiderio. Ma non è venuto.

Ma ha poca importanza. Non sarebbe successo assolutamente niente, perché i fiori non lo interessano. Li chiama robaccia, non li distingue l'uno dall'altro e pensa che sia segno di superiorità pensarla come la pensa lui. Non lo interesso io, non lo interessano i fiori, non lo interessa il cielo ornato di stelle la sera - ma esiste qualcosa che lo interessi oltre ai tuguri che si costruisce per rintanarvisi dentro così da proteggersi dalla buona pioggia che cade pulita; all'infuori dei meloni su cui picchia per vedere se sono maturi; all'infuori dell'uva che controlla grappolo per grappolo; all'infuori della frutta da albero che lui palpeggia per vedere come vanno i suoi possedimenti?

Ho messo un ramoscello secco sulla terra e ho cercato di farci dentro un buco usandone un altro, volevo realizzare un mio piccolo piano ma immediatamente mi sono presa uno spavento terribile. Dal buco si è alzata una pellicola bluastra, trasparente e sottile, ho lasciato cadere tutto e sono scappata. Ho pensato fosse uno spirito e mi sono presa una paura! Poi mi sono guardata alle spalle e lo spirito non mi seguiva; allora mi sono appoggiata a una roccia per riposarmi della corsa, ansimavo e mi tremavano le gambe; ho aspettato che le gambe e le braccia smettessero di tremarmi e ridiventassero salde. Poi, muovendomi cautamente, sono lentamente tornata carponi verso il punto da cui ero fuggita, mi guardavo intorno con circospezione, pronta a scappare se fosse stato il caso; e quando sono stata di nuovo vicina ho spiato da dietro un cespuglio di rose, dopo averne separato i rami - speravo che l'uomo fosse nei paraggi, perché avevo un'aria deliziosamente astuta e graziosa - ma lo spirito era scomparso.
Mi sono avvicinata e ecco che nel buco si raccoglieva un briciolo di polvere finissima e rosa. Ci ho messo dentro il dito perché volevo sentirne la consistenza e ho gridato "Ahi!", poi l'ho tirato fuori. E' stato un dolore lacerante. Mi sono messa il dito in bocca; dopo, tra gemiti e saltelli, prima su un piede poi sull'altro, sono riuscita in un attimo ad alleviare la sofferenza; allora ho provato una grande curiosità e ho cominciato a esaminare il tutto.

Mi incuriosiva sapere che cosa fosse la polvere rosa.

All'improvviso me ne è venuto in mente il nome, anche se non l'avevo mai sentito prima di allora. Era FUOCO! Ne ero certa più di qualsiasi altra cosa al mondo! Per questo, senza esitare gli diedi quel nome - fuoco.

Avevo creato qualcosa che prima non esisteva; alle ricchezze immense del mondo avevo aggiunto qualcosa di nuovo; nel rendermene conto ho sentito orgoglio per l'impresa compiuta e sono stata sul punto di mettermi a correre per cercarlo, per raccontarglielo, nella speranza di salire nella sua stima - ma ci ho pensato su e non l'ho fatto. No - non l'avrebbe interessato. Mi avrebbe chiesto a cosa mai potesse servire e come avrei potuto rispondergli?

Infatti se non fosse servito a nulla e fosse stato bello, semplicemente bello?

Così ho sospirato e non ci sono andata. Perché il mio fuoco non serviva a niente; non serviva a costruire una capanna, non serviva a migliorare la qualità dei meloni, non serviva a accelerare il raccolto; non aveva nessuna utilità, era una sciocchezza, così vana; egli l'avrebbe disprezzato, avrebbe detto parole dure. Ma ai miei occhi quel fuoco non andava disprezzato; ho detto "Fuoco, io ti amo; tu deliziosa creatura rosa sei BELLA - e questo è quanto basta!" e stavo per stringerlo al seno. Ma non l'ho fatto.
Poi ne ho ricavato un'altra massima, tutta di testa mia, che però era così simile alla prima da far sospettare che ne fosse un plagio:

Dopo che il fuoco l'ha scottato, l'Esperimento lo teme.

Di nuovo ci ho lavorato; e dopo essere riuscita a produrre una quantità discreta di polvere di fuoco, l'ho raccolta dentro una manciata di erba secca marrone, volevo portarla a casa, tenerla sempre con me e giocarci; ma il vento ci ha soffiato sopra con forza, la polvere si è sparsa ovunque intorno e mi ha colpita con violenza ed io l'ho lasciata cadere e mi sono messa a correre.

Quando mi sono girata indietro, lo spirito azzurro era lassù in alto, come una nuvola si allontanava disfacendosi e poi ricomponendosi in volute rotonde; subito pensai a un nome - FUMO! - anche se, lo giuro, non avevo mai sentito la parola fumo prima di allora.

In breve, faville luminose dal colore giallorosso si alzarono tra il fumo e in un attimo diedi loro un nome - FIAMME! - e come se non bastasse il nome era quello giusto, anche se quelle che avevo davanti erano di certo le prime fiamme del mondo. Salirono sugli alberi e nel loro splendore facevano di tanto in tanto capolino tra le ampie volute del fumo nella cui massa che andava estendendosi e riversandosi quelle fiamme di quando in quando scomparivano; l'entusiasmo e la gioia che ne provai furono tali che non riuscii a fare a meno di battere le mani, ridere, ballare, era tutto così nuovo e strano, così stupendo e bello!

Lui arrivò di corsa, si fermò con gli occhi spalancati, per molti minuti restò senza parole. Poi mi chiese che cosa fosse. Fu un peccato che me lo chiedesse con una domanda così esplicita. Perché naturalmente dovetti rispondergli e lo feci. Gli dissi che si trattava del fuoco. Che gli desse fastidio il fatto che lo sapessi, e che fosse costretto a chiedermelo, non è colpa mia; non avevo nessuna intenzione di innervosirlo. Dopo un momento di silenzio mi chiese:

"E come è successo?" Ancora una domanda esplicita cui bisognava dare una risposta esplicita.

"L'ho fatto io." Il fuoco si stava allontanando sempre di più. Egli si diresse al limite della zona bruciata e guardò a terra a lungo, poi disse: "E questi che cosa sono?"
"Carboni!"
Ne raccolse uno per guardarlo da vicino, ma cambiò idea e lo rimise per terra. Poi se ne andò. NIENTE lo interessa.

Ma tutto interessava me. C'era la cenere grigia, morbida, delicata, graziosa - la riconobbi subito. E la brace; riconobbi anche quella. Trovai le mele e ne raccolsi una gran quantità, la cosa mi diede piacere, perché sono molto giovane e ho un buon appetito. Ma ne fui delusa; erano scoppiate tutte e erano rovinate. Così sembrava; ma non era vero; erano migliori di quelle crude. Il fuoco è bello; penso anche che un giorno o l'altro avrà una sua utilità.

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