mercoledì 21 maggio 2014
Stella comanda color...
Ho un sogno. Niente di originale né esclusivo. Come questo incipit d’altronde. Vorrei scrivere sapendo che qualcuno mi leggerà, forse anche più d’uno. Ho una consapevolezza che è però il mio peggior limite, sapere di non avere alcun titolo per farlo. Così da anni a più riprese o meglio quando si fa più intensa la voglia di riuscire, di trovare un senso, frequento corsi di scrittura creativa.
Il primo lo ricordo poco, immagini sfocate, tutta la vita ancora davanti, vivido il senso di non appartenenza e falsamente irraggiungibile. Poco appassionante e troppo accademico il corso. Poco convinta e troppo inesperta, io. Il secondo sulle pagine di Internazionale dove ho letto numero dopo numero, trepidante ed emozionata, un centellinato “Un romanzo in un anno” di Louise Doughty e con lei sembrava possibile. Porto ancora con me le sue parole, “Se vuoi scrivere devi accettare che questo farà arrabbiare qualcuno. La famiglia ti reclamerà. La casa ti reclamerà. Gli amici ti reclameranno.” In effetti è difficile. Difficile ignorare tutti e tutto in un atto che almeno all’inizio parrebbe di puro egoismo. Così rimando, sempre.
L’ultimo corso almeno ad oggi è quello che mi ha dato maggiori soddisfazioni. ‘Scrittura creativa e copywriting pubblicitario’ improntato su più materie ognuna affidata ad un docente diverso. Il coordinatore e guru del copywriting, diventato famoso fra gli anni ottanta e novanta gli anni d’oro della rèclame, mi adorava. La docente di giornalismo, no. A quell’epoca godevo più o meno di un congedo prolungato di maternità nel senso che l’azienda con cui avevo collaborato full time per 13 anni aveva ceduto il ramo d’impresa durante la mia assenza obbligandomi quindi ad un non rientro. Avevo un meraviglioso e placido angioletto biondo di 4 anni di cui prendermi cura e un compagno di vita per lo più assente. C’erano i presupposti perché sentissi il bisogno di ritrovarmi e rigenerarmi e così feci di tutto per iscrivermi. Sono dovuta arrivare a quest’età, 40 anni, per capire che non sono capace di vivere un rapporto di coppia in modo equilibrato. Sacrifico i miei interessi e i miei spazi in virtù dei successi del partner credendo di poter vivere dei suoi soli riflessi. Allora non lo sapevo ancora oppure non ne ero molto cosciente. Così avevo dovuto convincere il mio uomo che quella spesa, una quota importante sul totale delle uscite familiari, mi ‘spettasse’, che avessi diritto a del tempo solo mio in mezzo ad asilo, lavori domestici e collaborazioni professionali varie. Insomma avevo dovuto fare in modo che credesse in me più di quanto non facessi io. Due incontri settimanali per un semestre presso lo IED, Istituto Europeo di Design, Moda, Arti visive e Management. Mi accorsi ben presto che ero la più anziana del gruppo e quella meno introdotta nel settore. Molti studenti e qualche addetto ai lavori, copywriter junior o collaboratori di agenzie di comunicazione. Insomma ero indubbiamente l’unico genitore in sala e sembravo lì più per un capriccio che per passione o come investimento per il futuro. Ricordo però divertita alcuni mugugni e le espressioni sorprese dei compagni di corso davanti agli elogi del suddetto professore in un paio di occasioni. Straordinariamente quando ci chiese di 'Scrivere un dialogo fra due individui all’uscita dal cinema che lasciasse capire che film avessero visto, che relazione ci fosse fra i due e come finisse la serata', risolsi il tutto in sole 6 battute di poche parole ciascuna. Un successone per me stessa che mi misuravo con una quasi certificata logorrea nel quotidiano e verso molti degli altri studenti che avevano ideato pagine e pagine di dialoghi tanto fitti, quanto lenti e scontati. Di contro però quando ci confrontammo con la metrica per una poesia zen, io brancolavo nel buio, senza riuscire a barcamenarmi fra endecasillabi e settenari. Era un po’ come se il docente di copywriting nelle sue ore spronasse la mia parte ludica e anche lievemente frivola mentre la docente di giornalismo richiamasse all’ordine la mia parte responsabile e coscienziosa. Credo che non le piacessi ma paradossalmente credo che non le piacesse ciò che rappresentavo. Forse le ricordavo di appartenere al sesso debole. Forse non mi considerava abbastanza determinata. Forse non vedeva nulla di speciale in me. Ricordo che una sera mi presentai sprovvista del testo che aveva assegnato la lezione precedente scusandomi per non aver avuto il tempo di svolgerlo a causa del ‘bambino, lavoro e tutto il resto’. Mi aveva fulminata con lo sguardo, ferendomi, e davanti il resto dei compagni di corso, tutti giovani, liberi dagli impegni e dalle responsabilità dell’essere genitore mi aveva risposto, occhi negli occhi, “Io sono diventata giornalista pur crescendo mia figlia da sola, ho sempre trovato il tempo per ogni cosa.” Il corso l’ho completato, arricchendomi di volti, nomi, racconti iniziati e mai conclusi, progetti, termini ed emozioni. Mi è rimasto un solo rammarico, di non aver trovato anche il suo consenso ma forse se mi vedesse oggi, nel mio caos mentale e nella mia corsa quotidiana verso una parvenza di normalità, con un figlio che cresco da sola, un lavoro che non mi piace ma che faccio con la stessa passione che riverserei se fosse esattamente ciò che vorrei fare, una casa da mandare avanti e un cassetto sempre aperto in cui butto ciò che trovo nelle tasche, in fondo la borsetta e negli angoli più freschi e luminosi della mente, le piacerei un po’ di più.
(L'ho scritto circa un anno fa per una raccolta privata, su richiesta di un amico, cedendone i ''diritti' ma non il ricordo)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
"Hai il coltello. Hai la mela. E sogni di mangiare la mela!?"
RispondiEliminaun'amica