domenica 3 marzo 2013

E' stata dura.

Ieri ho dato adesione per conto suo ad una lezione di ginnastica artistica con l'amico fidato del basket. Un punto di riferimento ma anche una fonte aggiuntiva di stress perché a quel punto avrebbe dovuto confrontarsi.
Da quando l'ho messo a parte del progetto infatti a più riprese mi ha chiesto di cosa si trattasse. L'ho tranquillizzato spiegandogli che la lezione sarebbe stata a misura di bambino.
Questo pomeriggio siamo stati in palestra insieme. I ragazzi impegnati a misurarsi con pertiche, corde, tappeti, travi e parallele e noi genitori impegnati ad affiancarli. A condurli il papà del fidato amico, già istruttore qualificato. Un altro volto familiare.
Ogni esercizio è stata una prova. Tutto nuovo. Tutto faticoso. Sfidante e per questo minaccioso. Se nasci tondo non puoi morire quadrato. Sono rimasta nelle retrovie, presente, vigile ma ho lasciato che qualcun altro  colmasse il mio gap. Non sono una particolarmente temeraria né trascinatrice so quindi che la scarsa confidenza di Hulko nelle proprie capacità è più una risultante.
In un paio di occasioni con un filo di voce mi ha detto, coperto dai gridolini eccitati degli altri, "Non so mamma se ci riesco." Uno in particolare lo ha abbattuto. Forse già provato dalla fatica dei precedenti, alle parallele ha preso qualche botta di troppo. Al morale.
Eravamo soli nello spogliatoio e ha lasciato che le lacrime scendessero. "Non sono stato capace."
"Invece sei stato molto bravo, erano tutti esercizi nuovi per te.
"Lo so ma gli altri sono riusciti a farli."
"Beh ognuno di loro ha sbagliato qualcosa e ha fatto meglio altro. Eravate qui per questo ma è stato divertente. Ti è piaciuto?"
Non mi risponde, mi guarda solo con gli occhi pieni.
Riprendo ricordando gli errori, gli episodi più buffi e raccontandogli che anche l'istruttore ha ammesso con il sorriso di non essere stato sempre perfetto nelle sue prove in passato, nonostante la passione.
Per ristabilire gli equilibri gli ho mostrato il livido procuratomi alle stesse parallele dove lui prima di me aveva fallito che, forse cercando di superare i suoi stessi timori, mi ero imposta di provare.
Abbiamo passato tutto il tempo, camminando verso il parcheggio e durante il ritorno in auto, a parlare di come servano le sfide per misurarsi con noi stessi. Con il corpo ma ancor prima con la mente.
Siamo rimasti in piedi. Con orgoglio di entrambi.

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